giovedì 28 giugno 2012

Il tempo delle mele


E poi arrivò la proposta della maestra “Che ne dite se facciamo un'estrazione per decidere i compagni di banco?Così vi integrate un po' di più”. Martina ebbe un sussulto di terrore, mentre la classe mugugnava un po' di scontento, ma allo stesso tempo eccitata dalle possibili novità che questo meccanismo avrebbe potuto portare. Nuove amicizie, nuovi amori, nuovi motivi di brusii... per Martina un incubo.
E se le fosse capitato un maschietto? Nessuno di loro avrebbe mai voluto essere il suo compagno di banco, lei lo sapeva. A volte usciva di casa la mattina per andare a scuola, e poi non ci andava, senza dire niente alla mamma. “Un'altra giornata di infelicità, posso evitarla. Vado a fare un giro da sola nel parco sopra la scuola, poi decido se tornare a casa o no”. Era sempre stata autonoma e orgogliosa, avrebbe potuto fare a meno di loro, tranquillamente, piccoli esseri inutili educati male da altrettante persone becere. “Perchè dovrei mischiarmi con loro? Sto bene da sola, io”. Pare che qualcuno l'avesse vista, e una mamma di un suo compagno di scuola l'avesse spifferato alla maestra “quella bambina è strana”. La maestra aveva chiesto a sua mamma se Martina avesse qualche problema. La mamma aveva risposto che era sicuramente una questione ormonale “Sa, si è appena sviluppata, è una periodo difficile per una dodicenne, ma tutto nella norma”. Non immaginava il suo disagio, sua madre le diceva “vedi quelle bambine obese? Non si fanno nessun problema, suvvia, devi essere più sicura di te”. Martina pensava che avrebbe voluto vedere sua mamma al posto suo “tu mamma, coi tuoi occhi verdi, considerata bella da tutti, che ne sai?”. Avrebbe voluto un po' di sofferenza per tutti: ci pensava molto alle diseguaglianze, e stava decisamente maturando un'idea di giustizia che non l'avrebbe mai lasciata.
“Vado nel parco e mi leggo Forza Milan, c'è uno speciale sul mio amore, Marco Van Basten, e sto sicuramente meglio che in quella classe”. Sì, perchè non comprava mica “Cioè”, lei: roba da ragazzina scema. Ne andava orgogliosa, lei non era banale come tutte le altre ragazzine.
Arrivò il giorno dell'estrazione: Nicola Millucci. Ecco il nome del suo futuro compagno di banco. Poteva andare peggio, di sicuro. Era fra i più educati e carini, uno di quei bambini che non parlano mai, timido. Un bambino normale, un tipo anonimo. Ma gli altri maschietti avevano già iniziato a prenderlo in giro, e sapevano essere davvero crudeli. Per lui stare di banco con Martina poteva diventare una specie di affronto, e lei non voleva. “Ma perchè deve essere costretto a stare di banco con me?”

Arrivò il lunedì, il suo posto nel banco vuoto l'aspettava. Però non era unito a quello di Nicola. Qualcuno l'aveva allontanato. Lui? Gli altri? Martina triste si sedette rassegnata. Ridolini dietro le sue spalle, sbeffeggiamenti al povero Nicola, che non se la sentiva di attaccare il banco. Martina iniziò a piangere dentro. La maestra entrò e intimò a tutti di attaccare i banchi.

Nicola la guardò come a dire “dobbiamo fare 'sta cosa” e le disse di avvicinare il suo banco che sporgeva, visto che quello di lui era attaccato al muro. Lei era pietrificata... “come faccio a stargli così vicina? Mi vedrà da vicino e penserà che sono ancora più brutta”
Silenzio.
Non ce la faccio, lasciamo stare... perchè dovrei chiedergli così tanto?Non voglio essere un problema, io”.
Lo sguardo di lui si faceva sempre più pietoso, e lei odiava la pietà. Non voglio crearti nessun problema, non voglio niente da te, lo so che non posso voler niente da te, ma magari possiamo essere amici... se soltanto tu...

Martina disse “Facciamo finta che io sono un maschio....”

E attaccò il suo banco a quello di Nicola. 

domenica 17 giugno 2012

Buchi


Un buco nero, in cui vanno a finire tutte le emozioni.
I fotogrammi degli uomini che ho amato.  I loro occhi, il primo incontro, i sorrisi, i desideri repressi, la libertà, la passione, i baci, toccarsi, evitarsi, se mi stringi così mi sento piccola ed è tutto ciò che voglio, le intese, le parole, arrossisco, i miei occhi che ruotano nella paura-desiderio di finire nei suoi - “panic!” - l'inutile stesura di inutili libretti d'istruzione (ma io che ne so?)... tutto lì, nel buco nero.

Stanno tutti là, e quando non ce li hai, ti fai un giro nel buco nero. Lì non c'è rancore, non c'è quasi mai spazio per il rancore. I miei uomini sono gatti, che distruggono le cose a cui tengo, e poi ti fanno le fusa. Ok, ha distrutto tutto, ma è un gatto. E' solo un gatto. E' colpa tua, che hai lasciato in giro le cose importanti. Non ti puoi incazzare con un gatto. L'hai scelto tu, felino. Non volevi un cane fedele; un gatto sensuale e indipendente, ma dolcissimo e presente, che ogni tanto ti si strofina, senza chiedere tantissimo, solo crocchette e qualche coccola. Puoi solo prendere quello che ha da darti, un gatto. Che poi, non è poco. Almeno con un gatto, c'è un luogo che puoi persino chiamare casa. In fondo, tra un buco nero e una casa, che differenza fa?